L’importanza dello sguardo e la paura di “essere visti”.
“Io ho vergogna di me davanti all’altro.”
Sartre
La negazione continuata dei bisogni fondamentali di amore, autonomia, autoregolazione, lo stato di frustrazione e di insoddisfazione conseguenti, uniti alla paura della solitudine, inducono l’individuo alla contrazione, al blocco, all’inibizione dell’energia vitale, provocando reazioni negative sul piano affettivo, emotivo e comportamentale, che sfociano anche nel sentimento di vergogna. La negazione del sé originario comporta una rinuncia parziale al soddisfacimento dei propri bisogni e una serie di compromessi che non gli permetteranno più un’espansione adeguata del proprio Io, ma solo una sua forma ridotta, condizionata dal sentimento di vergogna, perché imprigionata nella corazza.
La frustrazione che si accumula, produce e alimenta continuamente uno stato di rabbia, anche conseguente alla vergogna, che preme per uscire, ma che, a seconda delle difese e delle circostanze, può esplodere all’esterno nelle varie forme comportamentali legate ai blocchi. L’universalità di questi processi inibitori forse autorizza a ritenere che in ogni individuo il senso di vergogna abbia ridotto la capacità di aggressività, intesa come assertività, autoaffermazione e autoregolazione naturali. È questa la causa degli atteggiamenti distruttivi così diffusi nella nostra società. (Mattei, Il corpo e la vergona)
L’energia che possiamo riuscire a liberare nelle persone, a seconda del peso che in loro ha il senso di vergogna, potrebbe consentire una vita armonica ed espansiva, perché è quella che rimane imprigionata, riducendo l’espansione e la creatività.
Il senso di vergogna, sotto molti aspetti, genera anche un processo di “sradicamento” dell’individuo poiché le tempeste emotive connesse sono capaci di indebolire la personalità e il corpo e disconnetterlo dal suo terreno psicologico originario in favore dell’instabilità e dell’insicurezza. In qualche maniera e sentimento di vergogna può far sentire l’individuo come parzialmente sradicato da se stesso, dato che non può disporre completamente e totalmente di sé; non può conservare e sviluppare la propria individualità, né essere in grado di allargare il proprio spazio vitale, o entrare in contatto con gli altri senza ansia, senza bisogno di mascheramenti, di difese eccessive o di ruoli rigidi.
Attraverso gli occhi incorporiamo informazioni e immagini, sia sul nostro corpo che sulla realtà esterna. Il viso e gli occhi sono il centro principale dell’Io e della coscienza, la parte più elevata del corpo, la regione che per prima viene esaminata e guardata dagli altri e il livello del corpo dove si concentrano gli sguardi tra esseri umani. Intercettare lo sguardo di un altro rende quasi obbligatorio interagire con lui, sia pure per un periodo brevissimo. Le persone si riconoscono tra loro, oltre che per la conformazione generale del corpo e per le fattezze del viso, in particolare tramite gli occhi, per la loro espressione, che è inconfondibile, unica, distintiva. Essi, dunque, come “specchi dell’anima”, dei sentimenti, dell’individualità, esprimono più di ogni altra parte del corpo l’essenza della persona, l’immagine e la rappresentazione del sé.
La vitalità di una persona si misura e traspare dagli occhi, perché sono il luogo nel quale soprattutto convergono le energie del corpo e danno il segno delle emozioni e delle condizioni psicologiche e fisiche dell’essere umano. Essi sono, da un lato, il luogo preferenziale ed elettivo nel quale si esprimono la vergogna, l’imbarazzo, il disagio e nello stesso tempo gli strumenti fondamentali su cui si generano gli altri sentimenti, perché essi consentono l’esperienza dell’esposizione allo sguardo altrui, con le relative reazioni emozionali.
Molti autori considerano l’esperienza visiva fondamentale per lo sviluppo del sentimento di vergogna, in quanto correlato all’“essere visti”, al vedersi e non potersi sottrarre allo sguardo del mondo, ed è connesso alla paura del giudizio degli altri. Per quanto riguarda il sentimento di vergogna, esso trova una condizione o un supporto nella consapevolezza del sé esposto all’osservazione dell’altro. Infatti, il sentimento di vergogna è legato alla coscienza di sé e, contemporaneamente, degli altri che vedono e giudicano.
Il disagio nasce dalla possibilità che gli altri scoprano le nostre parti interiori nascoste, o che quelle esteriori non rispondano all’immagine che gli altri hanno di noi. L’ansia di non corrispondere alle aspettative degli altri o di apparire agli altri diversamente da come l’individuo si sente soggettivamente ed è fonte di intense preoccupazioni che alimentano il sentimento di vergogna, il desiderio di fuga e i vari tentativi di mascheramento, attraverso modalità sia comportamentali e volontarie che inconsce.
L’esposizione allo sguardo altrui accresce il senso di insicurezza e di difficoltà insite nella vergogna, perché, al contrario degli altri sensi, quello della visione, per la sua caratteristica asimmetrica, non consentendo di guardarsi direttamente, comporta una sorta di castrazione, di impotenza, di incapacità, di ineluttabilità, di incompletezza. (Mattei)
Quotidianamente le persone verificano nell’immagine riflessa allo specchio “chi si è e come si è”, cercando in essa, anche, come condizione di equilibrio psichico, la propria individualità e identità.
Mostrare se stessi comporta scoprire le parti deboli, indesiderate o rifiutate, e questo provoca un impulso generale, comune a tutti, a nascondersi, a celare le proprie emozioni e le proprie espressioni facciali, i gesti, la postura, la voce. L’essere visti o il non poter sottrarre il proprio corpo alla vista degli altri è fonte di grande ansia, perché l’esposizione allo sguardo altrui è collegata alle aspettative della persona nei confronti degli altri e di se stessi. Il guardare e l’essere guardarti provocano vergogna, e la vergogna accentua l’importanza dello sguardo e dell’essere guardati, anche perché è collegata al narcisismo, a un modello di se stessi che tutti possiedono e che nessuno accetta di vedere sminuito, deluso, fallito.
Il narcisismo è spesso il motore della volontà di autoaffermazione, della tendenza all’autodifesa, del desiderio di emergere e di possesso, che possono aprire la via alla “volontà di potenza” e, in circostanze esasperate, alla prevaricazione e al dominio sugli altri.[1]
Il narcisismo, come accentuazione dell’importanza di sé, induce in ogni caso in tutti gli esseri umani il desiderio di essere importanti agli occhi degli altri.
Nel sentimento di vergogna, mosso dal narcisismo c’è una sorta di ambivalenza, in quanto, se da una parte per l’esibizionismo è necessario che ci siano gli altri, dall’altro la loro presenza diventa un ostacolo e un blocco al desiderio di mostrarsi. Questa dinamica può provocare un’inibizione e una ritrazione dell’Io, per cui il bisogno di essere visti si scontra con la paura di essere visti.
Gli stimoli della vergogna sembrano risiedere nel giudizio negativo degli altri e in una sensibilità particolare verso questi. Il provare vergogna spesso comporta una paralisi dell’individuo in situazioni collettive e una sorta di angoscia o ansia sociale (legata al sentirsi inferiori e alla scarsa autostima) che può diventare inibitore sociale, in un’età in cui essa non è più ritenuta come fase normale di uno stadio dello sviluppo del sé.
L’individuo si vergogna di fronte a se stesso, perché sente e vede se stesso che prova vergogna, mentre si vergogna di fronte agli altri. Questa dinamica, basata su un meccanismo di proiezione, intuizione e distorsione, è in grado di provocare anche sensi di colpa, forte depressione, desiderio d’evasione, rifiuto di se stessi e degli altri. La proiezione ha un ruolo determinante nello sguardo, nelle reazioni emotive, neurovegetative e comportamentali.
Guardare, non è l’atto semplice e passivo di vedere la persona con i suoi contenuti, le sue paure e le sue distorsioni, ma è l’espressione attiva di se stessi. Possono essere comuni a tutti, alcuni spunti di autoriferimento, proprio perché partono da sentirsi al centro del mondo e dal sentirsi guardati narcisisticamente. (A. Lowen)
Tutto si basa sul meccanismo di proiezione, che è attivo dalle primitive fasi evolutive, perché l’Io diventa, sin dalla nascita, la centrale di riferimento da cui tutto parte e a cui tutto arriva, in un incessante dinamica proiettiva e introiettiva. Sentirsi sempre al centro dell’attenzione crea però molti problemi e complicazioni, perché tutto viene riferito a se stessi, e interpretato in base alle proprie sensazioni, percezioni e distorsioni interne, soprattutto quando le persone rinnegano una parte sempre maggiore di sé e le proprie emozioni, per proiettarle, con le parti negate, sugli altri.
Questa dialettica di interiorizzazione ed esteriorizzazione di sentimenti e di stimoli, provocata dagli occhi, dal guardare e dall’essere guardati, non è un processo puro e oggettivo; è, invece soggettivo, personale e relativamente distorto, accresce e intensifica il sentimento di vergogna sulla base di contenuti interiori, delle esperienze e delle interpretazioni dell’individuo. Ogni persona è inquinata da sentimenti di autoriferimento e dalla proiezione, e non può sentirsi a posto quando teme di venire svelata nella sua intimità: in questo caso, potrebbe provare sensi di colpa e sviluppare una vera e propria psicopatologia, – chiamata “sindrome da vergogna” – come molti hanno rilevato, che può associarsi alle normali relazioni umane.
Se il sentimento di vergogna è così psicopatogeno, è perché il “narcisismo”, intrinseco in ogni individuo, è talmente onnipresente e onnipotente che condiziona universalmente, globalmente e specificatamente ogni essere umano, nonostante le complesse e complicate mascherature.
Tuttavia, la vergogna è forse più funzionale al sistema sociale che non al singolo che la prova, in quanto comporta un adeguamento a norme e regole; infatti, rispetto alle emozioni considerate primarie (felicità, rabbia, paura, tristezza…) che compaiono precocemente senza richiedere autoconsapevolezza per essere evocate, la vergogna compare più tardivamente perché richiede l’interiorizzazione di norme e valori, la si può chiamare, quindi, “emozione dell’autoconsapevolezza”.
L’esperienza della vergogna potrebbe essere associata ad aspettative non realizzate, e scatenata dalla percezione di un disturbo nel riconoscimento facciale, che è il canale più importante della comunicazione non verbale.
La vergogna, inoltre, potrebbe nascere nell’esperienza precoce con la madre, nel momento in cui il caregiver diventa un estraneo per il bambino. Il bimbo guarda la mamma in cerca dell’emozione positiva generata dal rispecchiamento facciale e trova invece una risposta di disgusto o disapprovazione: in quell’attimo, in risposta del previsto stato di attivazione psicobiologica, prova vergogna, che è uno stato doloroso di drastica disattivazione.
Il sentimento di vergogna, dunque, trova grande supporto nello sguardo, nella paura di essere guardati ma anche nel timore di non essere a posto, di non essere all’altezza delle situazioni, di apparire come non si è, o di apparire come realmente si è, paura delle disconferma, del rifiuto e di deludere gli altri.
”Il sentimento di vergogna si fonda essenzialmente nella paura di un attacco all’immagine di sé, alla propria identità, profondamente intrisa di narcisismo”.
Potenziali cause della vergogna possono essere, infatti, l’incapacità di suscitare manifestazioni empatiche nell’altro, l’incapacità di dominare le manifestazioni emotive, e, molto spesso, la perdita di controllo sulle funzioni corporee.
Dott.ssa Alessandra Bentivogli PSICOLOGA-PSICOTERAPEUTA Tell. 320 0686822.